martedì 2 dicembre 2008

Misure anticrisi in crisi d'identità

Il decreto legge varato dal Governo per contribuire ad arginare gli effetti della recessione ha guadagnato le prime pagine dei giornali e ha suscitato notevoli aspettative. Credo però che, a conti fatti, molti resteranno delusi. La manovra infatti ha un leggero effetto restrittivo: riduce le spese e aumenta le entrate più di quanto allarghi i cordoni della borsa. Proprio quello che ci voleva in un periodo del genere! Che non si tratti di illazioni lo dimostra la lettura attenta (e paziente) della relazione tecnica allegata al decreto.
Per certi verso emblematico del modo affrettato ed approssimativo in cui questo testo è stato elaborato è l'articolo 10. Sulla carta avrebbe dovuto dare una mano alle imprese attraverso la riduzione della misura dell'acconto Ires e IRAP. Si sarebbe trattata di una misura finalizzata a dare temporanea liquidità alle imprese, perchè tanto le tasse le si sarebbe comunque dovute pagare, ma in un periodo in cui la liquidità per le imprese vale oro un assist del genere sarebbe stato davvero apprezzato. Purtroppo il comma 3 dell'articolo 10 prevede che l'ammontare non corrisposto in occasione delle date canoniche per il versamento degli acconti debba comunque essere versato nel "corrente anno". Si tratta molto probabilmente di un errore di redazione del testo. Tanto basta, dati i tempi ristretti, a rendere probabilmente inapplicabile (la relazione tecnica infatti stima un impatto nullo per la norma in questione in termini di gettito) una norma altrimenti utile.

mercoledì 9 luglio 2008

Tremonti specula sulla crisi programmatica del PDL?

Per uno come me che aveva dichiarato di non voler votare per la coalizione di centro destra perchè poco liberale, l'esito delle urne doveva rappresentare un castigo divino: il popolo si era pronunciato, per fortuna chiaramente; la maggioranza, ampia, c'era in entrambi i rami del parlamento; il governo si avviava a varare fondamentali provvedimenti nelle prime settimane di vita. E se così fosse stato sarebbe stato un bene per i sostenitori del PDL e per gli sprovveduti come me, in ultima analisi per il paese nel suop complesso.
Cosa abbiamo sotto mano? Una polemica al calor bianco sul potere giudiziario, con provvedimenti che hanno un beneficiario identificabile per nome e cognome.
Un nuovo fronte aperto con l'Unione Europea, istituzione con la quale ci sentiamo a disagio visto che da anni ormai non ne siamo all'altezza, sulla questione immigrati e rom da schedare.
E a far da ciliegina sulla torta un ministro dell'economia che orgogliosamente non perde occasione per farsi paladino di visioni ed analisi che di liberale hanno ben poco. Di fronte ad un Governatore che con diligenza svolgeva il suo compitino circa gli effetti sui consumatori finali della traslazione di un'imposta, il super-ministro non ha resistito al fascino della posa da caudillo e ha dichiarato: "noi non condividiamo questa impostazione". Noi magari vorremmo sforzarci di condividere la sua, ma nostro malgrado non troviamo appigli logici per poterlo fare in piena coscienza. Ci troviamo quindi di fronte ad un ministro non tanto socialista, quanto piuttosto da destra sociale in salsa italiana. Un ministro che giunto al governo sull'onda dell'indignazione per la pressione fiscale alle stelle non sa fare di meglio se non varare un DPEF nel quale si programma un aumento della pressione fiscale stessa e che tanto per rendere credibile il programma battezza una nuova tassa che inciderà su di un settore, quello energetico, dove già forti sono le pressioni sui prezzi dei prodotti finali.
A questo punto credo che sia giunto il tempo di porre una domanda agli amici liberali che han virato a destra credendo di poter governare il fenomeno PDL; di dover accettare dei compromessi per realizzare le riforme liberali possibili, ecc, ecc.
A questi amici chiedo se il prezzo che per intero hanno già pagato in queste settimane è congruo rispetto a quello che di liberale si potrà cavare fuori da questa maggioranza. Sono davvero disposti, da liberali, ad accettare vilipendio delle istituzioni, del buon senso e del buon governo, nuove tasse e tutta la corte dei miracoli per andare dietro al mito delle "imminenti" riforme liberali?

domenica 25 maggio 2008

Ordine pubblico uber alles?

La politica ambientale e quella energetica sono una cosa molto seria. Sono aspetti con i quali il nostro paese si gioca una fetta di credibilità e un'ampia parte del proprio futuro. Sono anche aspetti molto sensibili se si ha un'intera regione semi sommersa dai rifiuti ed un paese in continuo debito di energia. E badate bene, io non sono un esperto, ne sul piano teorico, ne sul versante applicato. E non posso nemmeno vantarmi di far parte di un governo unto dal voto popolare in maniera inequivoca. Però da cittadino e da liberale sento il bisogno di far emergere dei dubbi. In primo luogo, se esperti di rango mondiale come ad esempio Rubbia non hanno avuto modo di lavorare in questo paese, vuol dire che ci sono dei problemi non solo a livello territoriale, ma anche a livello centrale. Se, inoltre, miliardi di euro svaniscono nel nulla in Campania e nei campi affiorano barili di rifiuti tossici e radioattivi è difficile che tutto sia stato svolto alla chetichella da qualche malintenzionato. Forse il sistema politico ha scelto la via della connivenza. Questo tipo di questioni, vista la loro natura strategica, dovrebbe essere trattato dalle assemblee rappresentative: comunali, regionali, nazionali. Sarebbe bello vedere i principali uomini politici prendere parte al dibattito, conoscere le loro opinioni, ponderare le loro argomentazioni, valutare le loro proposte. In una democrazia dicono che si faccia così. Noi invece procediamo per decreto, senza dibattito, avallati dall'urgenza. Non solo, ma militarizziamo la questione, affidando all'esercito aspetti del vivere quotidiano che in tutti gli altri paesi sono affidati a semplici amministrazioni. Ora, al di la di tutte le questioni di forma, resta il fatto che i governi traggono legittimità dal consenso dei governati. Le immagini di questi giorni dimostrano che nelle zone di Chiaiano consenso non c'è n'è; ma non abbiamo invero nemmeno i meccanismi istituzionali per prevedere interventi compensativi. E la polizia che nella terra della camorra e delle ecomafie carica manifestanti inermi non è buon segno. Non è buon segno nemmeno un decreto della Repubblica che nascondendosi dietro l'urgenza consente al pubblico di fare, coperto dall'esercito, quello che per anni hanno fatto le ecomafie. Oggi in Campania, domani dove? Da liberale diffido e vivacemente protesto contro un modo di fare a base di decreti e stati d'assedio, soprattutto se la maggioranza che siede in parlamento è stata nominata da un solo padre nobile. Perchè vedete, se per avere strade senza rifiuti, treni in orario e qualche infrastruttura in più bisogna rinunciare alla dignità della democrazia forse è bene che ci si cominci a preoccupare per il futuro della nostra libertà.

lunedì 19 maggio 2008

Due incognite sulla via del federalismo fiscale

Il federalismo fiscale è stato uno dei cavalli di battaglia della coalizione di centro-destra e verosimilmente sarà una delle prime riforme strutturali che il nuovo governo varerà. Riforma di fronte alla quale è difficile rimanere indifferenti. Ma gli entusiasmi di molti (alcuni) e le paure di alcuni (molti) (dipende dai punti di vista) da cosa sono alimentati? Dalla propensione / avversione alle riforme, dalla voglia di scardinare / paura di perdere posizioni di privilegio, ad esempio. Ma no solo.
Se si guardano i dati si vede che la spesa è distribuita in maniera tutto sommato omogenea sul territorio nazionale. Le entrate sono molto più alte nelle regioni settentrionali dove si concentra un’economia più dinamica e meno opaca. In particolare, le entrate sono più alte delle spese al nord, sono più basse al sud. A livello di sistema paese si chiude complessivamente in deficit; disavanzi sotto la fatidica soglia del 3 per cento del prodotto in alcuni anni, superiori al 3 per cento quando ci si mette di mezzo la congiuntura sfavorevole. Il primo dilemma, insito nei dati, ci mostra la difficoltà di conciliare federalismo fiscale (nel senso che una parte delle entrate restano nel territorio dove sono state generate) e livelli di erogazione dei servizi non marcatamente differenziati a livello territoriale. Volendo qualificare questa affermazione, basta pensare ai bilanci regionali dove l’80 per cento delle spese è assorbito dalla sanità. Le regioni che vedrebbero diminuire le entrate dovrebbero tagliare i livelli di assistenza sanitaria per mantenere il saldo di bilancio lontano da deficit esplosivi e come tali insostenibili. Il secondo dilemma è rappresentato dal fatto che una riforma di questa portata (strutturale, appunto) è pensata mantenendo inalterati tutti gli altri elementi. Volendo fare esempi per quanto possibili concreti, come si fa a pensare che una regione possa rassegnarsi a veder diminuire il gettito senza adottare misure capaci di limitare o addirittura annullare tali tendenze? Se le regioni meridionali cominciassero a tagliare fortemente l’IVA, a ridurre l’imposizione sui redditi aziendali e, al limite, anche quella personale, siamo sicuri che il processo si risolverà in un esito del tipo: più gettito al nord, a parità di entrate totali? Un esito del genere avrebbe bisogno di un puntello che metta al bando la possibilità di concorrenza fiscale. Si depotenzierebbe la riforma in termini di vantaggi concreti ai cittadini ( in ultima analisi i veri beneficiari di politiche più concorrenziali anche a livello fiscale) e si capirebbe che la riforma stessa non si regge in toto sulla bontà delle sue idee ispiratrici e sul mercato, ma su una forma subdola di protezionismo di Stato. Immorale prima ancora che illegittima. Certo, le informazioni in possesso dei padri riformatori saranno di ben altro spessore rispetto a quelle disponibili ad un semplice blogger, e gli accorgimenti che accompagneranno la riforma saranno certo capaci di limitare gli effetti distorsivi. È questo il motivo della mia trepidante attesa, che oscillando tra speranza e paura spera di veder abbracciati l’entusiasmo che nasce dall’idealismo con la solidità di un disegno razionale. E abbracciati non a mo’ di ubriachi.

martedì 29 aprile 2008

Alitalia: chi compra cosa?

Che l'Unione europea non susciti grandi simpatie tra i politici italiani è cosa nota, dovuta probabilmente all'ignoranza delle regole che ne disciplinano l'operato. Ed oggi il buon Silvio ci ha fornito un caso di scuola: minacciare (avete letto bene, minacciare) di far acquistare l'Alitalia dal gruppo Ferrovie dello Stato. L'ipotesi è economicamente bislacca, ma per altri versi esilarante. L'Alitalia infatti è una società controllata dal Ministero dell'Economia e delle finanze quindi pubblica da questo punto di vista.
Nell'ambito dell'Unione europea vi è anche un'altra nozione che molto spesso, soprattutto se di mezzo ci sono i conti pubblici, fa capolino: quella di società market. Una società (tecnicamente una unità istituzionale) è considerata operare in regime di mercato se colloca i propri prodotti o servizi a prezzi economicamente significativi. Il prezzo è economicamente significativo se sue variazioni sono in grado di influenzare la domanda di mercato. In pratica, se la società riesce a coprire tramite ricavi di mercato almeno il 50% dei costi operativi è considerata un operatore di mercato e quindi non va ricompresa tra le Amministrazioni pubbliche. I pratici della questione, quindi, semplificano dicendo che le unità istituzionali o sono pubbliche (amministrazioni) o sono private. Da questo punto di vista l'Alitalia è privata in quanto opera applicando tariffe di mercato.
Evidentemente il nostro ha confuso i due piani: quello della governance societaria da un lato e quello della classificazione statistica dall'altro. Altrimenti non avrebbe senso dichiarare di voler acquistare una cosa che già fa parte del tuo patrimonio disponibile.
Va detto anche che l'Unione europea non avrebbe criticato un qualsiasi trasferimento di denaro all'Alitalia, ma solo quella parte corrisposta a prescindere da una corretta valutazione economico-finanziaria. Vuol dire che se immetti denaro fresco in una società decotta e senza prospettive di rilancio in realtà non stai facendo un investimento, ma stai foraggiando dipendenti, fornitori e tutti quelli che hanno avuto rapporti finanziari con la società beneficiata dal trattamento di favore. E' un po' l'analisi che farebbe un buon padre di famiglia: non investire in una impresa votata alla perdita. Che un atteggiamento di buon senso e che indirettamente tutela il contribuente possa essere stato oggetto di critiche veementi da parte del centro-destra è un segnale che non fa ben sperare.
Infine due ultimi aspetti. L'Unione europea non può ostacolare l'operazione, quindi la capacità di manovra dell'esecutivo non è messa in discussione o sminuita. Infine, nella peggiore delle ipotesi se alla fine di una lunga e complessa istruttoria il nostro paese dovesse essere riconosciuto colpevole di aver elargito aiuti di Stato sarà condannato a pagare una multa. Altri Stati europei, da tempo, finanziano alcune attività ritenute strategiche che però non presentano condizioni di economicità. Lo fanno con fermezza, senza polemizare con l'Unione, pagando una multa. Il giusto prezzo per conseguire contemporaneamente due obiettivi: mantenere la parola data coi trattati e favorire lo sviluppo di alcuni settori della propria economia. Ma noi, da veri provinciali, lo ignoriamo e proviamo l'ebbrezza della sfida che nasce dal gesto bello, roboante, ma fine a se stesso.

mercoledì 16 aprile 2008

Niente consultazioni

La vittoria del PDL può essere l'inizio di una nuova stagione per la politica italiana. E' verosimile che tra breve prenda vita un governo capace di governare per l'intera legislatura, governo che trae forza da una investitura diretta da parte dell'elettorato. E' bene che la politica cominci a darsi una svecchiata anche negli aspetti formali. Sarebbe quantomai opportuno che il Presidente della Repubblica assegni l'incarico di costituire un nuovo governo all'on. Berlusconi senza propinarci il rito inutile delle consultazioni. Consultazioni delle quale non v'è traccia nella carta costituzionale e che furono escogitate dalla partitocrazia per sminuire ulteriormente le prerogative della presidenza della repubblica. Oggi abbiamo la possibilità di cominciare lanciando un segnale innovativo; tornando allo spirito della costituzione del 1948.

martedì 15 aprile 2008

La vittoria di Veltroni

Con i risultati elettorali appena sfornati che consegnano una netta maggioranza al PDL sia in termini di seggi, sia di voti viene naturale parlare della sconfitta, più o meno prevedibile, di Veltroni e della disfatta della sua ala sinistra. Tuttavia varrebbe la pena non farsi prendere la mano dall'entusiasmo e chiedersi se non ci sia qualcosa che possa appagare, almeno temporaneamente, il buon Walter e i suoi compagni di strada. In effetti l'esperimento del PD è riuscito a conseguire un grande risultato nell'area di centro sinistra. Vengono spazzati fuori dal parlamento i gruppi della sinistra cashmir e/o antagonista; scompare per implosione il Partito Socialista che affannosamente nei mesi precedenti aveva tentato di rimettere insieme i vari cocci del PSI. Il sogno dell'egemonia, accarezzato per decenni dal PCI, si avvera sotto le insegne democratiche. Si parte da un 33 per cento di consensi. Si avrà tempo di strutturare meglio il partito, di cementarlo tramite un'opposizione dura a Berlusconi. E nel frattempo si avrà la possibilità di contribuire a riformare forse una legge elettorale in modo che non ci sia mai più spazio per i cespugli. Con la recessione alle porte e le grandi attese degli italiani da soddisfare in qualche modo non è detto che non pesi di più, in prospettiva, il fatto di essere diventati, per Walter e compagni, l'unica sinistra possibile.

domenica 13 aprile 2008

Aspettando la vittoria di Silvio

"Io voglio che vinca, faccio voti e faccio fioretti alla Madonna perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. Berlusconi è una malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L'immunità che si ottiene col vaccino" - Indro Montanelli, 26 marzo 2001.
Sperando che col quarto governo si raggiunga la dose sufficiente ad assicurare l'immunità per le prossime generazioni.

venerdì 11 aprile 2008

Non capisco (almeno) una cosa del PDL

La campagna elettorale finalmente volge al termine. Inutile come prevedibile, fiacca, a tratti svogliata. Una cosa mi ha deluso più delle altre. Il fatto che in ogni intervento dei principali esponenti del PDL una ampia parte del discorso aveva ad oggetto il PD. E via a enumerare errori, storture, malefatte del PD per tentare di dimostrare malafede, incopetenza e, per questa via, proclamare l'inutilità se non addirittura la dannosità del voto. Ma se il PDL ha davvero politici che ambiscono al ruolo e al rango di statisti; se ha un programma ben fatto, organico, armonioso; se i propri candidati sono membri illustri della società civile, che bisogno c'era di parlare, come ossessi, del PD? Procedendo in questo modo, a mio avviso, si è data l'impressione che non un qualche dialogo si volesse instaurare coi cittadini che in ogni parte d'Italia accorrevano alle manifestazioni, ma piuttosto martellare su alcuni tasti con gli stessi metodi di antiche propagande. E da liberale devo dire che, quasi sempre, si martella sulle cose non vere, non evidenti, solo abbozzate o ipotizzate. Ma forse qualcuno on line può dirmi dove sbaglio. Da liberale non avrei problemi ad ammetterlo. Aiutatemi allora.

giovedì 10 aprile 2008

Centomila case per centomila plebei

Nel programma del PD si fa cenno al problema della casa, problema avvertito principalmente dai giovani, e si propone la costruzione di centomila alloggi da destinare a fasce sociali svantaggiate. Visto che il capitale privato va alla ricerca di una congrua remunerazione, pari almeno a quella che si otterrebbe attraverso impieghi alternativi di rischiosità analoga, è evidente che tale intervento, al di la dei proclami, richiederà un sostegno economico, parziale o totale, da parte del pubblico erario. Ma non è il profilo di spesa che ci preoccupa principalmente. Quel che delude è un'analisi carente del problema. In Italia non mancano alloggi in generale. Quanti paesi della fascia collinare appenninica ad esempio sono zeppi di alloggi che nessuno vuole acquistare, alloggi che nessuno affitta se non per scorci d'anno. Le case mancano nelle aree urbane, già densamente popolate e con una superficie sfruttata in maniera intensiva, maggiormente dinamiche. Dinamicità, economica ed in parte sociale, che rappresenta proprio la forza attrattrice di sempre nuove persone. Il problema della casa è divenuto più intenso a Roma proprio negli anni in cui la capitale ha esibito dei tassi di crescita dell'attività economica mediamente superiori a quelli del resto del paese. Ma va detto chiaramente che non ha senso costruire nuovi alveari in periferia, nuovi quartieri dormitorio dai quali e verso i quali i residenti affrontano quotidiani viaggi della speranza. Roma, che ambisce al ruolo di capitale europea, è una città con un sistema dei trasporti ridicolo. Non è pensabile lavorare in centro e risiedere a Guidonia, ad esempio, se non mettendo in conto quotidiani viaggi lunghi, scomodi e funestati da frequenti inconvenienti. In Inghilterra è possibile risiedere invece tra le verdi colline dello Yorkshire e raggiungere Londra in tempi umani. Se si vogliono aiutare i giovani è importante aumentare l'offerta di alloggi, ma non con politiche populiste degne dell'Italia in camicia nera, ma attraverso interventi strutturali che consentendo di espandere fortemente l'area nella quale è possibile risiedere senza incorrere in soverchi costi di spostamento, rendano automaticamente appetibili migliaia di alloggi, notate bene, già disponibili. Purtroppo in questo paese è più facile tirar fuori delle idee magari costosissime per le casse dello Stato, ma buone per uno slogan piuttosto che cercare di prendere il toro per le corna, fornendo una soluzione coerente e praticabile.

martedì 8 aprile 2008

L'Umberto sente odore di pareggio

Che nel repertorio del buon Umberto ci fossero pezzi di un certo peso era noto da tempo a tutti. Non stupisce quindi l'uscita sui fucili da imbracciare per l'ordine delle liste sulle schede. Uscita che fa il paio con quella di qualche anno fa secondo cui i fucili si sarebbero dovuti imbracciare per andare a snidare, casa per casa, quelli che secondo lui erano i fascisti e che oggi sono grossa parte della sua coalizione.
Cosa bolle in pentola? L'Umberto sente odore di pareggio, intravede la possibilità di accordo tra PDL, PD e magari anche UDC e sa che se la cosa andrà in porto non ci sarà spazio per la Lega. Così come il PD ha potato i cespugli, al centro destra si chiederà un biglietto d'ingresso rappresentato dal benservito al carroccio. Per tentare di frenare questa tendenza, che nelle intenzioni di voto pare evidente, l'Umberto tenta di avvelenire il clima per scavare un solco quanto più ampio possibile tra i due schieramenti. Da un punto di vista tattico gode di un vantaggio visto che Silvio, oltre a discettare dell'età e della salute dell'Umberto, non può concedersi uscite più velenose ed incisive. Tuttavia più che un solco servirebbe un fossato per escludere fin d'ora l'esito dell'accordo. E non è detto che possa bastare visto che i pontieri sono già alacremente al lavoro da tempo.

lunedì 7 aprile 2008

Fucili caricati a balle

L'uscita del buon Umberto a proposito dei fucili da rispolverare se la scheda elettorale non dovesse essere emendata è davvero entusiasmante. Bhè, certo, se questo fosse un paese serio e se la parola dei politici, al pari di quella dei galantuomini, valesse tanto quanto un contratto l'aggettivo più appropriato sarebbe preoccupante e non entusiasmante. Ma dobbiamo fare i conti con la nostra vera natura e quindi oltre a fare quello che Veltroni ha fatto durante un comizio (interrogarsi retoricamente sulla possibile collocazione del buon Umberto al dicastero delle riforme istituzionali) è forse opportuno dedicare il nostro tempo produttivo a qualcos'altro.
Tuttavia una domanda (forse retorica) ci ronza per la testa. Ma come, il buon Umberto non ha proferito verbo quando le infrastrutture di cui il nord produttivo ha bisogno come dell'aria non venivano realizzate; non ha smosso nemmeno un plotone per la ventilata chiusura di Malpensa, opera che doveva essere un fiore all'occhiello per l'intero paese; non ha tuonato contro la pressione fiscale che drena risorse prodotte al nord tramite la concorrenza sui mercati per dirottarle al sud dove finiscono nella rete delle clientele inproduttive; non ha.....e potremmo continuare per due giorni e tre notti. Ma ha minacciato la sommossa armata per "l'ordine delle liste sulle schede elettorali". Per chi è abituato alle pagine rosa, l'ordine in cui si presentano gli articoli non è indifferente certo, ma da qui a farne un caso di stato ce ne corre. Comunque sia il buon Umberto ha calamitato su di se i riflettori della politica, sottraendoli ai concorrenti, ma non come fanno gli statisti, ma al pari degli ortolani che, per antica saggezza, sanno bene che anche le fragole di Terracina non si vendono se non attraverso urla poderose.
PS per Silvio: se va bene, sappiamo il nome del ministro delle riforme. Se va male, non tutto è perduto: almeno un nome nuovo per Zelig lo abbiamo.

domenica 6 aprile 2008

Tre menzogne per una campagna elettorale

La democrazia italiana è in pericolo. A cingerla d'assedio sono le menzogne con le quali si è annacquata la campagna elettorale. Abbiamo assistito alla maggiore operazione di disinformazione verificatasi nel mondo libero nel corso degli ultimi decenni.
La prima menzogna è quella che descrive i partiti, soprattutto quelli piccoli, come una delle cause fondamentali dei problemi italiani. Non c'è stato nessuno che abbia fatto notare come la nostra Costituzione garantisca in capo ad ogni singolo cittadino il diritto di esprimere le proprie opinioni, di associarsi con altri cittadini per il perseguimento di fini legittimi, che come unico limite alla costituzione di partiti ponga il rispetto del metodo democratico. Non c'è stato nessuno dei commentatori avvezzi a propinarci ovvietà illuminate che abbia voluto sottolineare il fatto che in una democrazia rappresentativa se i cittadini partecipano in prima persona alla vita democratica è un buon segno per la democrazia stessa, vuol dire che le istituzioni repubblicane godono di buona salute e sono quindi in grado di assolvere i propri compiti in maniera efficace. E non c'è stato nessuno che abbia alzato la mano per far notare l'inesistenza stessa della questione. C'è, infatti, un meccanismo molto semplice per partire da una qualsiasi situazione partitica, anche molto frastagliata, ed arrivare ad un'assemblea legislativa con una maggioranza coesa ed autonoma. Non si tratta di alchimie medievali, ma di una legge elettorale compiutamente maggioritaria.
La seconda menzogna è stata quella dell'avvio di processi aggregativi sia a sinistra, col PD, sia a destra, col PDL. Sul versante di sinistra si è trattato della prosecuzione, con forme e toni leggermente differenti, del processo di egemonia che già il PCI avviò. Lo testimonia, tra l'altro, il fatto che nella fase costituente del PD non sia stata rappresentata la cultura e la tradizione socialista. Va dato atto al buon Boselli di aver sottolineato in maniera sagace il fatto che è difficile costituire un partito sinceramente democratico avendo seduti in prima fila alti prelati e autoproclamati capitani d'impresa. Sul versante di destra non si può dire se processo aggregativo ci sia stato davvero. FI non ha mai avuto una vita democratica interna. Nessun organo rappresentativo si è pronunciato. Dal predellino, il genio del leader ha creato un nuovo soggetto. Non ci stupisce che gli aennini siano ancor oggi affascinati dal mito del partito unico. Va rilevato che il PDL deve ringraziare personaggi improbabili se la sua credibilità non è scesa dallo 0,3 allo zero assoluto. Deve ringraziare una valletta che ha pensato bene di continuare a fare quello che l'ha resa nota senza cedere alle sirene della politica. Deve ringraziare il leader de La Destra, che rivendica con fierezza il diritto di dar voce ai propri ideali, se nella compagnia che va sotto la ragione sociale di popolo delle libertà non ci sono anche i tardi epigoni della scuola di Salò.
La terza menzogna è quella del voto utile. Nessuno si è preso la briga di specificare utile nei confronti di chi. Un voto a questo PD è un voto utile a Veltroni e alla classe dirigente di cui è esponente. Un voto che consentirebbe di trarre una nuova legittimazione. Un voto a questo PDL è un voto utile a Berlusconi, ai suoi interessi economici, alle sue mire politiche. Un voto utile ai delfini e ai vassalli. Ma non sarà, nell'uno e nell'altro caso, un voto utile per l'Italia e per i suoi cittadini. Troppo poco importanti gli impegni programmatici, troppo confusa l'idea che questi candidati hanno del paese reale, troppo scarsa la cultura e l'esperienza di cui possono farsi alfieri.
La prossima legislatura poggerà su queste basi. Nessuno si illuda che possa dare risposte concrete anche solo ad alcuni dei problemi del paese. La cosa peggiore che possa capitarci in sorte è che anche dopo la chiusura dei seggi si continui con questo gioco dei ruoli, che anche dopo il 15 aprile la politica non sappia far altro che propinare ai cittadini nuove e più colossali menzogne.

sabato 29 marzo 2008

Laici e liberali nel prossimo parlamento

Probabilmente nella prossima legislatura non ci saranno rappresentanti della tradizione e della cultura liberale. E' evidente il fallimento dei tanti che hanno preferito l'amicizia e la benevolenza del principe alla costituzione di un soggetto politico liberale autonomo ed indipendente. Nel momento in cui la vita politica italiana si è incarognita, basata com'è oggi sugli slogan, sulle menzogne, sulle campagne di disinformazione è difficile che possano tornare utili persone che non hanno mai perso il vizio di pensare con la propria testa, persone che non credono nell'obbedienza come in valore assoluto. Ed è questo il motivo per cui tali persone sono state espulse dalle liste del centro destra; meglio degli ascari obbedienti che dei battitori liberi, anche a costo di imbarcare degli emeriti sconosciuti o, peggio ancora, dei soggetti inquietanti.
Comunque sia, prima di abbandonarsi al pessimismo cosmico è possibile soffermarsi su due considerazioni. In primo luogo, subito dopo le elezioni sarà necessarion avviare la costituzione di un autonomo soggetto liberale, senza sprecare più di tre giorni nel cercare di mettere d'accordo tutte quelle sigle che si professano liberali. Liberale è che il liberale lo fa, non chi utilizza un'etichetta per ostacolare la costituzione di qualcosa di nuovo solo in base ai suoi desideri ed alle sue pretese. In secondo luogo, una forza non vassalla ai due poli, con liste presenti in tutta Italia, laica e liberale alle prossime elezioni ci sarà: il buon Partito Liberale Italiano. Credo che valga la pena sostenere questa avventura piuttosto che andarsene al mare o, peggio ancora, esprimere un voto dannoso per il nostro paese e la nostra democrazia.

sabato 23 febbraio 2008

Federalismo: ritorno al Medioevo?

Quando nel nostro paese si parla di federalismo il mio pensiero va alla scena del film "non ci resta che piangere" in cui compare una dogana dove il responsabile pretende più volte il pagamento di una gabella: il famoso "quanti siete, dove andate, un fiorino". Questo perchè, a mio avviso, la riforma dello Stato centralizzato non è stata affrontata pensando ad una soluzione ottimale, capace di favorire la partecipazione democratica dei cittadini, ma è sostanzialmente la sommatoria dei prezzi politici che varie coalizioni nel corso degli anni hanno pagato alla Lega per tirarla dalla loro parte. E' difficile riscontrare una qualche logica in una suddivisione delle competenze legislative chiara solo a parole, in proclami altisonanti e nel permanere di una finanza locale che deriva il grosso delle sue risorse dai trasferimenti dello Stato. La prossima regionalizzazione dell'Italia sarà verosimilmente l'occasione per passare dall'ottusa e onnipresente burocrazia statale a 20 pregevolissime burocrazie regionali. Tale esisto dovrebbe essere scontato data la smania di protagonismo delle classi politiche locali e la tendenza alla differenziazione sempre più accentuata. Con la regionalizzazione si pongono le basi per introdurre nella nostra società delle forti discriminazioni. Formalmente si pongono sullo stesso piano tutte le regioni. In pratica, la differente estensione territoriale, la popolazione e la distribuzione fortemente eterogenea del potenziale economico faranno si che le capacità progettuali e operative di alcune regioni saranno fortemente limitate. Andrebbe forse approfondita la riflessione secondo cui alcune regioni sono entità storicamente e socilmente definite, altre sono delle fittizie entità amministrative, prive d'anima. Se il federalismo va inteso come l'occasione che questo popolo ha per darsi delle regole più vicine alle esigenze e alla sensibilità dei cittadini bisognerebbe ripensare il numero, i confini e l'articolazione delle Regioni in modo da avere macroaree nelle quali abbia un senso articolare politiche. E bisognerebbe necessariamente ripensare in maniera organica le funzioni da far svolgere al pubblico, eliminandone svariate, dirigendo a livello locale la capacità operativa, riservando al centro politiche d'indirizzo che per la loro definizione richiedono uno staff relativamente piccolo. Va da se che in uno scenario di seria riforma l'accrocco delle province dovrebbe essere risolto con la loro immediata abolizione. Purtroppo penso che dalla stasi dell'oggi il federalismo tornerà all'onore delle cronache solo quando sarà conveniente pagare un ulteriore prezzo, per ulteriore servigi. Con buona pace dello spirito riformista.