lunedì 19 maggio 2008

Due incognite sulla via del federalismo fiscale

Il federalismo fiscale è stato uno dei cavalli di battaglia della coalizione di centro-destra e verosimilmente sarà una delle prime riforme strutturali che il nuovo governo varerà. Riforma di fronte alla quale è difficile rimanere indifferenti. Ma gli entusiasmi di molti (alcuni) e le paure di alcuni (molti) (dipende dai punti di vista) da cosa sono alimentati? Dalla propensione / avversione alle riforme, dalla voglia di scardinare / paura di perdere posizioni di privilegio, ad esempio. Ma no solo.
Se si guardano i dati si vede che la spesa è distribuita in maniera tutto sommato omogenea sul territorio nazionale. Le entrate sono molto più alte nelle regioni settentrionali dove si concentra un’economia più dinamica e meno opaca. In particolare, le entrate sono più alte delle spese al nord, sono più basse al sud. A livello di sistema paese si chiude complessivamente in deficit; disavanzi sotto la fatidica soglia del 3 per cento del prodotto in alcuni anni, superiori al 3 per cento quando ci si mette di mezzo la congiuntura sfavorevole. Il primo dilemma, insito nei dati, ci mostra la difficoltà di conciliare federalismo fiscale (nel senso che una parte delle entrate restano nel territorio dove sono state generate) e livelli di erogazione dei servizi non marcatamente differenziati a livello territoriale. Volendo qualificare questa affermazione, basta pensare ai bilanci regionali dove l’80 per cento delle spese è assorbito dalla sanità. Le regioni che vedrebbero diminuire le entrate dovrebbero tagliare i livelli di assistenza sanitaria per mantenere il saldo di bilancio lontano da deficit esplosivi e come tali insostenibili. Il secondo dilemma è rappresentato dal fatto che una riforma di questa portata (strutturale, appunto) è pensata mantenendo inalterati tutti gli altri elementi. Volendo fare esempi per quanto possibili concreti, come si fa a pensare che una regione possa rassegnarsi a veder diminuire il gettito senza adottare misure capaci di limitare o addirittura annullare tali tendenze? Se le regioni meridionali cominciassero a tagliare fortemente l’IVA, a ridurre l’imposizione sui redditi aziendali e, al limite, anche quella personale, siamo sicuri che il processo si risolverà in un esito del tipo: più gettito al nord, a parità di entrate totali? Un esito del genere avrebbe bisogno di un puntello che metta al bando la possibilità di concorrenza fiscale. Si depotenzierebbe la riforma in termini di vantaggi concreti ai cittadini ( in ultima analisi i veri beneficiari di politiche più concorrenziali anche a livello fiscale) e si capirebbe che la riforma stessa non si regge in toto sulla bontà delle sue idee ispiratrici e sul mercato, ma su una forma subdola di protezionismo di Stato. Immorale prima ancora che illegittima. Certo, le informazioni in possesso dei padri riformatori saranno di ben altro spessore rispetto a quelle disponibili ad un semplice blogger, e gli accorgimenti che accompagneranno la riforma saranno certo capaci di limitare gli effetti distorsivi. È questo il motivo della mia trepidante attesa, che oscillando tra speranza e paura spera di veder abbracciati l’entusiasmo che nasce dall’idealismo con la solidità di un disegno razionale. E abbracciati non a mo’ di ubriachi.

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