sabato 21 febbraio 2009

Conclave liberale

Scrivo mentre De Luca e Diaconale sono impegnati in un faccia a faccia che potrebbe regalare una conclusione unitaria ed ecumenica al quinto congresso del PLI. Abbiamo fin qui assistito ad una due giorni di dibattito teso, a tratti aspro, con pochi spunti di grande valore.

Questo congresso è iniziato con una squadra, quella di Diaconale, votata all'attacco e con una arroccata in difesa, pronta a prendere in contropiede gli avversari al primo cenno di amnesia. Questa schematizzazione si è incagliata, da subito, sulla questione delle circa 200 tessere inoltrate oltre i termini previsti; leggerezza imperdonabile che ha pesantemente condizionato tutto il congresso. Un congruo numero di partecipanti è rappresentato da allegre scolaresche, piene di entusiamo, pronte a mettersi in gioco, ma totalmente inesperte.
Una conclusione unitaria è forse comprensibile, ma contro lo spirito di questa assise. De Luca ha gestito in maniera personalistica e verticistica il partito; ha sempre mirato a strappare un seggiolino piuttosto che a dare un'organizzazione e un radicamento al partito. Ha preferito, alle ultime politiche, cercare un accordo con tutti, anche con l'UDC, piuttosto che decidersi a raccogliere le firme. E anche quando la legge gli consentiva di presentare a gratis delle liste si è deciso a scendere in campo col simbolo del PLI solo dopo che anche le ultime porte di servizio erano state sbattute sul muso. Dopo le lezioni, per mesi, il partito non ha avuto una linea, non ha messo in cantiere uno straccio di iniziativa, frustrando le aspettative della maggior parte dei sui 103 mila elettori.
L'alternativa era chiaramente Diaconale. Cosa ci guadagna il direttore a dare tregua al segretario uscente? Se il direttore fosse uscito sconfitto dalla conta sarebbe rimasto nel partito, smentendo di fatto le voci cattive, e si sarebbe rafforzato regolarizzando le tante iscrizioni oggi escluse dal voto, legittimando la sua ascesa alla segreteria poco dopo. Se il patto dell'Aran sarà sottoscritto, il segretario avrà modo di arruolare nuove truppe cammellate, avrà modo di annacquare le istanze dei nuovi venuti, stempererà gli ardori con un abbraccio soporifero e, soprattutto, farà ricadere parte della responsabilità del verosimile scarno risultato alle prossime europee anche su Diaconale.
Anche attraverso una contrapposizione e, se necessario, attraverso una lacerazione questo poteva essere il congresso del rilancio di una politica liberale chiaramente identificabile come tale. Rischiamo invece di assistere ad un ennesimo rinvio, figlio di pastette, di compromessi e, in parte, della paura di essere coerenti con le proprie posizioni iniziali. E su queste basi non si costruisce una forza politica autonoma che possa parlare con autorevolezza e credibilità alla socieà italiana.

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